27 FEBBRAIO 2019

USCITA CLASSI IV E V

TEATRO SAN CARLO - VILLA PIGNATELLI - CASTEL DELL'OVO

1737: NASCE IL TEATRO PIU' ANTICO DEL MONDO

Accanto a Piazza del Plebiscito, simbolo della città di Napoli, sorge il tempio lirico italiano, con una data di nascita che anticipa di 41 anni la Scala di Milano e di 55 la Fenice di Venezia.

Storico Teatro napoletano, il Teatro San Carlo è uno dei teatri più antichi e famosi al mondo. Affacciato nelle vicinanze di Piazza Trieste e Trento, sorge nella parte inferiore del Palazzo Reale, con il quale è collegato tramite una porta reale che permetteva al Re al tempo di accedere nel Massimo napoletano senza scendere in strada. Nei pressi del teatro troviamo anche la Galleria Umberto I. All'interno del real teatro troviamo un museo, il MEMUS, che con quadri, fotografie, documenti d'epoca, strumenti musicali, archivi, costumi e quant'altro ripercorre la storia del Real Teatro di Napoli.

STORIA ARTE E CULTURA

Il Teatro San Carlo è uno dei più antichi teatri operanti in Europa, e senza dubbio uno dei più famosi al mondo al pari della Scala di Milano. Fondato nel 1737, prende il nome da Carlo di Borbone che volle la costruzione del teatro. La prima opera in scena fu Achille in Sciro il 4 novembre del 1737, giorno onomastico del Re. Il 12 dicembre del 1816 un incendio lo distrusse completamente. Re Ferdinando I di Borbone sei giorni dopo ne riordinò però l’immediata ricostruzione, dandone il compito all’architetto Niccolini, che con una precisa clausola del contratto gli fu ordinato di rifarlo dell’identico aspetto di come appariva prima dell’incendio. La seconda inaugurazione del Teatro ebbe luogo così il 12 gennaio 1817 con l’opera Il sogno di Partenope, di cui abbiamo testimonianza anche da Stendhal che scrisse parlando del Massimo napoletano <<… Non c’è nulla in tutta Europa, che non dico si avvicini a questo teatro, ma ne dia la più pallida idea. Gli occhi sono abbagliati, l’anima rapita…>>.

Il Teatro toccò gli anni del suo massimo splendore grazie alla direzione di uno dei più grandi impresari di Italia e d’Europa, ossia Domenico Barbaja, che portò al teatro personaggi del calibro di Rossellini e Mayr. Nella seconda parte del regno di Ferdinando II il teatro subì un clima di decadenza, e con l’inizio della censura si incrinò anche il rapporto con Giuseppe Verdi, che preferì mettere in scena i suoi maggiori capolavori a Roma.

Il Teatro è collegato direttamente al Palazzo Reale tramite una porta, utilizzata ai tempi del regno solo dal Re, in modo da permettere l'accesso diretto dalla reggia. Sorge direttamente nell'area nord del Palazzo, ed è stato in origine costruito su progetto di Giovanni Antonio Medrano, con numerosi interventi nel corso del tempo operati da Ferdinando Fuga nel 1767 che ne ridisegnò il boccascena, e decorato nella sala ad opera di Domenico Chelli nel 1797. La facciata fu progettata da Antonio Niccolini, su volontà di Gioacchino Murat, in perfetto stile neoclassico. Dopo l'incendio già citato del 1816 fu ricostruito dallo stesso Niccolini, e restaurato nel 1834 nuovamente dallo stesso architetto. Il San Carlo può ospitare tremilatrecento spettatori, e conta su cinque ordini di palchi disposti a forma di cavallo, con un ampio palco reale, un loggione ed un lungo palcoscenico centrale. Al suo interno è presente anche un Museo, il MEMUS, in cui sono esposte opere d'arte che narrano la storia del San Carlo, dalla sua fondazione ai giorni nostri.

...IN QUESTO FANTASTICO TEATRO POTRETE ASSISTERE ALL'OPERA TEATRALE "IL MONDO DELLA LUNA"...

Dramma giocoso di Giovanni Paisiello su libretto di Carlo Goldoni

Regia | Ciro Arancini e Claudia Riccardo

Attori | Ciro Arancini, Rossella De Rosa, Giovanni del Monte,

Claudia Riccardo, Barbara Veloce, Margherita Vicario

Ecclitico costruisce un cannocchiale così speciale da riuscire a vedere sul Mondo della Luna.  Un giorno viene a trovarlo il Signor Bonafede, e informato dal suo amico di una cosa così straordinaria, gli chiede di poter guardare dal cannocchiale. Bonafede resta incantato dalla vita lunare. Il Mondo della Luna è un mondo benedetto dove poter vivere felici. In realtà Ecclitico è un finto astrologo, ma è veramente innamorato di Clarice, la prosperosa figlia di Bonafede, anch’essa innamorata pazza del suo ammiratore. Bonafede però non acconsentirebbe mai al matrimonio tra il suo amico, ricco di scienza ma povero di danaro, e la sua figlia prediletta di cui è follemente geloso. Flaminia, l’altra figlia di Bonafede, furba e sfrontata, per aiutare la sorella, architetta un piano perfetto: perché non trasferirsi sul favoloso Mondo della Luna dove poter vivere tutti in armonia, accolti dall’ Imperatrice che non ama riverenze e dove ci si sposa per amore e non per interesse? Il piano di Flaminia ed Ecclitico andrà a buon fine? E il credulone Bonafede resterà deluso?

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Carlo Goldoni (Venezia 1707-Parigi 1793).

Figlio di un medico, segue il padre nei suoi spostamenti in varie città italiane. Affascinato fin da giovane dalla vita avventurosa che conducono i teatranti, solo nel 1731 porta a termine gli studi di giurisprudenza. Pur esercitando l'attività di legale e in seguito anche quella di diplomatico, la sua passione dominante resta il teatro per cui scrive opere di genere diverso, dai drammi agli intermezzi comici alle tragicomemdie.
Solo dal 1747, grazie al successo di alcune sue opere, si dedica completamente al teatro, trasformando in testi teatrali completamente scritti i semplici canovacci della vecchia commedia dell'arte in cui le maschere tradizionali (Arlecchino, Pantalone, Pulcinella, Colombina...) improvvisavano situazioni e dialoghi a partire da poche e semplici indicazioni. Goldoni scrive moltissime commedie in lingua e in dialetto veneziano suscitando la rivalità e le gelosie degli altri autori in voga.
Disgustato dalla critiche alle sue innovazioni e desideroso di cambiamento, si reca a Parigi dove riesce a imporsi al pubblico e alla corte e scrive, in francese, la sua autobiografia, I Mémories. Ritiratosi a vita privata, muore in miseria nel 1793.
Carlo Goldoni creò un tipo di commedia completamente nuovo portando sulla scena la vita quotidiana al posto dei tipi fissi della commedia dell'arte. La commedia dell'arte era un tipo di teatro che, affermatosi nel Cinquecento, aveva avuto grande fortuna nel Seicento. Nella commedia dell'arte non esisteva il testo scritto: gli attori recitavano sulla base di un canovaccio, cioè di tracce, su cui i comici improvvisavano le loro battute (per questo era detta anche commedia dell'improvviso). Nel Settecento questo tipo di teatro mostra segni di crisi; le rappresentazioni diventano noiose e ripetitive, con battute sempre più scontate e volgari, fatte allo scopo di far divertire un pubblico dai gusti grossolani.
Le commedie goldoniane sono ancora oggi messe in scena con successo, data la loro straordinaria attualità. Infatti l'innovatore Goldoni ha saputo creare personaggi reali e tratteggiandone con finezza la psicologia, facendoli agire in situazioni concrete, quotidiane, ha dato vigore alla loro naturale comicità.
Goldoni è autore di più di cento commedie tra cui ricordiamo: La bottega del caffè, La locandiera, Le smanie per la villeggiatura, Le baruffe chiozzotte, Il ventaglio e di alcuni libretti da musicare tra cui il dramma giocoso ...Il mondo della luna... scritto per essere musicato da Baldassarre Galuppi, il quale lo rappresentò per la prima volta il 29 gennaio 1750 a Teatro San Moisè di Venezia. Successivamente il libretto fu ripreso da altri compositori, tra i quali Giovanni Paisiello e Franz Joseph Haydn, che lo musicò nel 1777 in occasione di una festa di nozze dei principi Esterházy.[

VILLA PIGNATELLI

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La villa Pignatelli (o anche villa Acton Pignatelli) è una villa monunentale di Napoli ubicata lungo la Riviera di Chiaia.

La struttura, con annesso parco, rappresenta uno dei più significativi esempi di architettura neoclassica della città. Al suo interno hanno sede il Museo Principe Diego Aragona Pignatelli Cortés e il Museo delle carrozze di villa Pignatelli.

Storia

Voluta nel 1826 dal baronetto Sir Ferdinand Richard Acton, figlio di John Francis Edward Acton, VI Baronetto, primo ministro di Ferdinando I, la villa venne realizzata da Pietro Valente a cui successe nel 1830 Guglielmo Bechi. Per eseguire i lavori fu necessario demolire una preesistente abitazione appartenente ai Carafa.

I lavori del Valente non furono semplici, dovendo di volta in volta adeguarsi alle precise richieste del proprietario inglese. Non a caso diverse furono le controversie tra le due parti circa i lavori di esecuzione, tant'è vero che furono circa ventidue i progetti presentati dall'architetto napoletano per trovare l'accordo con Ferdinand Richard Acton. A causa di queste diatribe, i lavori di decorazione interna e quelli del giardino esterno furono affidati ad un'altra persona, il toscano Guglielmo Bechi.

Qualche anno dopo la morte di Acton, nel 1841, la villa venne acquistata dalla famiglia di banchieri tedeschi Carl Mayer von Rothschild, che la abitarono fino al 1860. Il nobile di Francoforte incaricò i successivi lavori di abbellimento prima ad un architetto parigino e poi, insoddisfatto del lavoro, a Gaetano Genovese. A questa fase risale l'edificazione all'estremità settentrionale del parco della palazzina di tre piani nota come palazzina Rothschild.

Nel 1867 la famiglia tedesca vide le proprie sorti legate a quella dei Borbone di Napoli, i quali furono allontanati dalla città a seguito dell'unità nazionale. Così la villa fu ceduta al principe Diego Aragona Pignatelli Cortés, duca di Monteleone. I Pignatelli furono nobili molto raffinati nei gusti e nei modi tant'é che trasformarono il luogo in un punto d'incontro culturale tra intellettuali e alta aristocrazia napoletana ed europea. Con testamento pubblico del 10 settembre 1952 la principessa Rosina, nata Fici dei duchi di Amafi, disponeva il lascito della villa allo Stato italiano, attraverso il Ministero della pubblica istruzione, che all'epoca garantiva anche la tutela dei beni culturali. I Pignatelli furono quindi gli ultimi proprietari della villa rimanendovi ad abitare dal 1897 fino al 1955, data nella quale fu ultimata la donazione della struttura allo Stato Italiano perché fosse trasformata in un appartamento-museo destinato a perpetuare il nome del marito e nipote di Diego Aragona Pignatelli, nonché suo omonimo, il principe Diego Aragona Pìgnatelli Cortés, già deceduto nel 1930.

Assieme alla villa, la famiglia Pignatelli donò anche ciò che riuscì a raccogliere nel corso degli anni: argenti, bronzi, porcellane, smalti, cristalli, un'importante biblioteca e circa quattromila microsolchi di musica classica e lirica. Tutti questi reperti sono oggi esposti negli ambienti che compongono la villa.

Nel 1960 la villa venne aperta al pubblico col nome di Museo Principe Diego Aragona Cortés Nello stesso anno, ma inaugurato nel 1975 ed aperto al pubblico solo nel 2014 avvennero inoltre altre importanti donazioni, per lo più di carrozze e materiali annessi, tra cui spicca quella del marchese Mario d'Alessandro di Civitanova, grazie alle quali nacque il Museo delle carrozze di villa Pignatelli.

Descrizione

La villa dispone di tre piani. Il piano terra è quello che conserva l'aspetto di dimora nobiliare e ospita la ricca collezione di porcellane orientali del Settecento e dell'Ottocento, quadri ed altri reperti donati dalla principessa Rosina e costituenti il Museo Principe Diego Aragona Pignatelli Cortés. Il sottotetto e gli scantinati, accessibili mediante scale di servizio ben dissimulate, erano destinati alla servitù, ai ripostigli e alle dispense, mentre le cucine erano poste nell'interrato di una vicina costruzione e collegate alla villa mediante una piccola galleria sotterranea. Il primo piano, accessibile dal vestibolo circolare d'ingresso, era destinato infine alla residenza padronale.

Dal vestibolo ovale del pian terreno posto dopo l'entrata in villa dalla facciata posteriore, è visibile al centro della sala un tripode neoclassico in legno, marmi policromi e pietre dure. Da questo spazio si aprono poi tre accessi grazie ai quali si accede agli altri ambienti al pian terreno della villa, attraverso le porte sul versante frontale e a sinistra, mentre dalla porta sul lato di destra si giunge gli ambienti del piano superiore tramite una scala a chiocciola. Ad oriente sono quindi la piccola sala d'armi dove sono esposti armi ed utensili da caccia e subito dopo si arriva al grande salone delle feste (oggi utilizzato anche per convegni) e da qui alla sala dell'orchestra; di fronte all'ingresso, sempre nel vestibolo, è invece il salotto Rosso, punto centrale della villa da cui poi si snodano tutte le altre sale. Al primo piano infine sono presenti alcune pitture decorative delle stanze, tra cui il tondo raffigurante La primavera di Giacinto Diano, risalente alla fine del '700.

Sala Rossa

La sala Rossa presenta sul soffitto il dipinto Allegoria dell'architettura di ignoto autore, attribuito secondo alcuni a Francesco Oliva, questi particolarmente attivo nel XIX secolo nei lavori decorativi dei palazzi nobiliari in città, nella cui scena si può ammirare un piccolo genio che regge un foglio su cui è visibile la pianta della villa.[9] Le alterazioni architettoniche e le decorazioni in stucco bianco e oro risalgono all'epoca dei Rothschild (metà Ottocento) e quindi alle mani di Gaetano Genovese, il quale modificò l'originale progetto di un architetto parigino di cui si ignora l'identità.[9] Il pavimento è in terracotta dipinto mentre gli arredi e la mobilia fanno parte della manifattura napoletana e francese tipica dell'Ottocento.

Biblioteca

Dal salotto Rosso si accede ad occidente a quello Verde, dove troneggia lo scrittorio con alzata in legno intarsiato e bronzo con inserti di porcellana e motivi floreali. Pregevole anche il pavimento sempre in cotto dipinto che rimanda alla precedente sala, nonché le collezioni di porcellane provenienti dalle maggiori fabbriche del periodo, tra cui quella di Capodimonte, Vienna ed altre europee.[9] Da quest'ambiente si può raggiungere a nord la sala da pranzo che mostra un importante numero di vasi di porcellana decorati con motivi animali, floreali o storici e soprattutto un pregevole servizio di piatti della prima metà del XIX secolo di Limoges con posate d'argento e bicchieri con lo stemma nobiliare della famiglia Pignatelli;[9] a sud è invece la biblioteca, caratterizzata da un pregevole parato alle pareti con mobilia intagliata in stile neo-rinascimentale e con poltrone tappezzate in cuoio con stemmi familiari. L'ambiente, che veniva utilizzato dagli Acton come sala da biliardo, espone inoltre diverse opere tra cui un Ritratto di Maria Carolina di ignoto autore del XVIII secolo, le tavole con le Storie della Vergine di Giovanni Filippo Criscuolo del 1530 circa, raffiguranti la Nascita della Vergine, la Presentazione al Tempio e lo Sposalizio della Vergine, nonché la scultura in bronzo del Narciso di Vincenzo Gemito, firmata e datata 1886 e direttamente dedicata a Diego Pignatelli.[9] Il ricco fondo bibliotecario conta 2000 testi e più di 4000 microsolchi di lirica e classica; tra i libri conservati sono anche la serie completa del Real Museo Borbonico che cataloga ed illustra con stampe tutti i ritrovamenti vesuviani conservati poi nel palazzo degli Studi.[9]

Sala Azzurra

L'altra metà della villa è composta dal salotto Azzurro, utilizzata storicamente dalla principessa Rosina come sala dove accogliere gli ospiti e che conserva ancora l'aspetto originario ottocentesco con decorazioni a dipinto sulla volta; la sala mostra inoltre testimonianze storiche legate alla famiglia Pignatelli attraverso fotografie ritraenti illustri ospiti della villa, come i membri di casa Savoia o di altre nobili famiglie d'Europa.[9] Successiva alla sala Azzurra è la sala delle feste le cui decorazioni a stucco, i dipinti e gli arredi, sono quelli originali eseguiti tra il 1870 ed il 1880 dal pittore romano Vincenzo Paliotti. La sala, che mostra anche un busto bronzeo opera di Manuel Tolsà del 1794 ritraente il conquistatore Fernando Cortés, avo dei Pignatelli, confluisce tramite un'apertura a tre ingressi aperti nella successiva sala dell'orchestra alle spalle della quale c'è poi una piccola aula da ricambio utilizzata dalle illustri ospiti che in occasione dei balli avevano bisogno di riordinarsi l'aspetto. Di forma semicircolare, l'ambiente è denominato salottino pompeiano per via delle decorazioni alle pareti eseguite dal fiorentino Guglielmo Bechi con stucchi in stile pompeiano.[7] Gli affreschi, sempre a medesimo rimando, con figure femminili, vedute e amorini, sono invece attribuiti a Nicola La Volpe e Gennaro Maldarelli.[9]

Sul lato frontale della villa, adibita a mostre e concerti, è infine la pregevole veranda neoclassica, caratterizzata da una doppia linea di colonne neo-doriche sulla facciata e da sculture ottocentesche che decorano l'ambiente interno. Pensata in origine come spazio aperto verso il giardino antistante, fu chiusa da finestre e porte poste tra le colonne più esterne intorno alla fine dell'Ottocento. Al suo interno sono conservati i due busti marmorei della seconda metà del Settecento di papa Innocenzo XII Pignatelli e di papa Clemente XI Albani, entrambe di Domenico Guidi, la scultura in marmo di Diego Pignatelli duca di Monteleone, opera di Leonardo Pennino che ritrae il principe in posa e veste classica, a mo' di imperatore romano, la statua della Danzatrice di Carlo Chelli e infine tre sculture ottocentesche raffiguranti Venere con pomo, Venere che esce dal bagno e Venere con delfino e putti alati.

CASTEL DELL'OVO

Sull’isolotto di Megaride (primo insediamento di Napoli) troviamo il Castel dell’Ovo, il più antico dei castelli di Napoli, una cittadella fortificata costruita sulla villa di Lucullo (patrizio romanano del Imo secolo a.C), poi ampliata dai Normanni e dagli Angioini.

Con le sue torri e torrette, con l’arcone che unisce le due parti dell’isolotto di Megaride e le mille finestre che occhieggiano dalle sue pareti, Castel dell’Ovo sembra davvero una cittadella fatata.

Il Castel dell’Ovo sorge imponente sull’antico Isolotto di Megaride al quale si accede attraverso un breve ponte che lo collega alla bella passeggiata a mare di Napoli, via Partenope, dal nome della leggendaria sirena simbolo di Napoli! Su questa piccola isola sbarcarono gli abitanti di Cuma, verso la metà del VII secolo a.C. e poi di fronte, sul Monte Echia, fondarono il primo nucleo abitato di Partenope.

Una bizzarra leggenda farebbe risalire il suo nome all’uovo che Virgilio avrebbe nascosto all’interno di una gabbia nei sotterranei del castello. Il luogo ove era conservato l’uovo, fu chiuso da pesanti serrature e tenuto segreto poichè da “quell’ovo pendevano tutti li facti e la fortuna dil Castel Marino”. Da quel momento il destino del Castello, unitamente a quello dell’intera città di Napoli, è stato legato a quello dell’uovo. L’uovo, comunque non è mai stato trovato.

La posizione del Castel dell’Ovo, un tempo importante per motivi militari, è oggi importante per ben altre ragioni: il turista in visita potrà ammirare il paesaggio circostante e l’intero Golfo salendo sul punto più alto del castello, la Terrazza dei cannoni, dal quale potrà ammirare l’intero Golfo di Napoli godendo di scorci davvero molto suggestivi. Non dimenticate di guardare l’orientamento delle punte dei suoi cannoni: puntano sulla città. Elemento quest’ultimo fondamentale, se si vuole capire il carattere non proprio pacifico del popolo partenopeo, che qualche volta è stato tenuto buono dai regnanti solo, come si suol dire, “sotto le cannonate”.

Oggi il Castello è adibito a convegni e cerimonie d’alto livello. La passeggiata all’interno é molto suggestiva, con scorci panoramici sul lungomare inquadrati da elementi architettonici molto interessanti. Possono essere visitate le due torri, denominate Normandia e Maestra, i resti della Chiesa di San Salvatore, una sala gotica coperta a volte, il cosiddetto carcere della regina Giovanna ed il grande terrazzo panoramico con i cannoni spagnoli rivolti verso la città. Cannoni che furono usati per sparare sulla folla durante la rivolta di Masaniello.

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Le 10 cose di Castel dell’Ovo che ancora non sapevate         

Dalle antiche leggende agli sviluppi più recenti, ecco quello che probabilmente ancora non sapete su Castel dell’Ovo, il castello più antico di Napoli.
 Il Castel dell'Ovo è tra i castelli più antichi della città di Napoli, se non il più datato rispetto ai vicini Castel Capuano e Maschio Angioino. Si tratta di uno degli elementi che più risaltano all'occhio quando si fotografa il celebre golfo della città partenopea. Adagiato sul mare, si trova tra i quartieri di San Ferdinando e Chiaia e la sua origine pare risali addirittura all'epoca romana. Ma la storia del Castel dell'Ovo è fatta di numerosi dettagli e curiosità che restano ignote ai più. Dalle leggende che circolano sulla nascita del suo nome agli sviluppi degli ultimi anni, ecco le dieci cose che ancora non sapete su una delle costruzioni più famose d'Italia.

#1 L'isolotto di Megaride e la leggenda di Partenope

Il Castel dell'Ovo si sviluppa completamente su un isolotto, il cosiddetto isolotto di Megaride, oggi quasi del tutto irriconoscibile. Quando fu realizzata la costruzione nel lontano I secolo d.C., l'isolotto non era collegato alla terra ferma, ma era distante pochi metri dalla costa. Secondo un'antica leggenda, sotto l'isola fu sepolto il corpo della sirena Partenope, che si era suicidata dopo il rifiuto di Ulisse. Il mito narra che ciò avvenne molto tempo prima della fondazione della città di Neapolis, facendo diventare questo uno dei luoghi di culto più sacri dell'antichità.

#2 In questo luogo di guerra nacque l’aggettivo “luculliano”

L'origine del Castel dell'Ovo pare sia da rintracciarsi nel I secolo d.C., quando Lucio Licinio Lucullo, guerriero romano e amico di numerosi letterati, decise di acquistare un fondo agricolo compreso tra Pizzofalcone e Pozzuoli per realizzare una villa dalle grande dimensioni. L'isolotto di Megaride si prestava molto bene a questo scopo, con i suoi aranceti e canneti. Così diede ordine di far costruire il celebre Castrum (o Castellum) Lucullianum, una villa elegante e ricca di biblioteche, allevamenti di murene e frutteti di ciliegie. E' probabile che proprio da qui derivi l'origine dell'aggettivo "luculliano", che significa raffinato, sontuoso.

#3 Qui morì l'ultimo imperatore di Roma

Dopo il crollo dell'Impero romano, anche la villa di Lucullo subì un lieve declino. Tuttavia, le sue stanze ospitarono Romolo Augustolo, l'ultimo imperatore di Roma, dopo la deposizione nel 476 d.C. Qui fu spedito da Odoacre, dopodichè scomparve dalle fonti documentate, per cui è molto probabile che la sua morte sia avvenuta in quello che sarebbe diventato il Castel dell'Ovo.

#4 Prima di essere un castello è stato anche un monastero

Pochi sanno che il Castel dell'Ovo prima di essere così come lo si conosce oggi è stato anche un monastero. Nell'Alto Medioevo, dopo la morte dell'ultimo imperatore di Roma, nella villa di Lucullo si insediarono dei monaci basiliani provenienti dalla Pannonia, che continuarono a vivere qui secondo la regola benedettina. Vi realizzarono anche un lazzaretto per i pellegrini che tornavano dalla Terrasanta. #5 Il Castel dell'Ovo era la prigione di Corradino di Svezia, decapitato a 16 anni Secondo le fonti storiche, dopo essere stato villa e monastero, il Castel dell'Ovo come lo conosciamo oggi fu costruito nel 12esimo secolo. Dopo la conquista normanna di Napoli, il castello ospitò la famiglia reale dei D'Angiò. E' qui che venne tenuto prigioniero in questi anni Corradino di Svevia, allora sedicenne, catturato dagli uomini di Carlo I durante la battaglia di Tagliacozzo, prima di essere decapitato pubblicamente in piazza Mercato. Nel 1608 vi fu tenuto prigioniero anche Tommaso Campanella e nel 1800 alcuni celebri giacobini come Francesco De Sanctis, Carlo Poerio e Luigi Settembrini.

#6 Ha ospitato una fabbrica di cristalli e di specchi

A metà Settecento Carlo di Borbone fece nascere all'interno del Castel dell'Ovo una fabbrica di cristalli e specchi. Il suo intento era quello di dare nuovo slancio al settore manifatturiero della città e all'economia napoletana, come già aveva fatto a Capodimonte e a Castellammare.

#7 Volevano abbatterlo per creare un nuovo rione

Nel 1871, all'inizio del Regno d'Italia, il Castel dell'Ovo ha rischiato di scomparire: volevano infatti abbatterlo per creare un nuovo rione della città di Napoli, accanto a quelli già esistenti di San Ferdinando e di Chiaia. Il progetto, realizzato dall'Associazione degli scienziati letterati e artisti, non fu però portato a termine, anche se il Castello rimase in uno stato di profondo abbandono almeno fino al 1975, anno in cui cominciarono i lavori di ristrutturazione.

#8 Durante la Seconda guerra mondiale ospita un reparto libico

Nel corso della Seconda guerra mondiale, il Castel dell'Ovo venne utilizzato come fortezza militare. In particolare, durante gli anni del Fascismo, ospitò le truppe dirette in Libia, prima di diventare avamposto della contraerea. Oggi è in congedo militare.

#9 Persino la regina mentì per salvaguardare la leggenda dell’uovo

Il nome del Castel dell'Ovo deriverebbe dalla cosiddetta leggenda dell'uovo, secondo la quale il poeta Virgilio avrebbe appeso ad una trave di quercia nei sotterranei del castello una gabbia di ferro contenente una caraffa piena d'acqua e un uovo. Si pensava che proprio quest'uovo reggesse il destino del castello e della città di Napoli: per questo durante il maremoto che quasi distrusse la costruzione nel 1370 si diffuse la paura che l'uovo magico si fosse rotto. Per correre ai ripari e far tornare la pace in città, la regina Giovanna I fu costretta a giurare pubblicamente che l'uovo fosse stato sostituito con uno integro davanti ai suoi occhi.

#10 Castel dell'Ovo e la leggenda dell'uomo-pesce

Il mito racconta di un ragazzo, Niccolò o Cola Pesce, metà uomo e metà pesce, che spesso veniva incitato dal re di Napoli a gettarsi in mare nei pressi di Castel dell'Ovo per riportargli cosa nascondessero i suoi abissi. L'uomo-pesce raccontò di aver visto coralli, scheletri e navi sommerse ricche di tesori. Per portare al sovrano le gemme preziose lì conservate, si faceva ingoiare da un pesce e quando arrivava a destinazione gli tagliava il ventre per uscire. Di lui improvvisamente non si seppe più nulla. Semplicemente non riemerse più dall'acqua.

 

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